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martedì 28 maggio 2013

Video esplicativo (Morgan)

Questo video vi mostrerà cosa succede praticamente, quando le Drosophila, si "incrociano"! xD



VIDEO SU MORGAN E LA SUA SCOPERTA

Morgan (Thomas Hunt)

Morgan, la Drosophila e i geni!


Il genere Drosophila fu classificato all’inizio del XIX secolo; la specie più nota, Drosophila melanogaster, venne descritta verso la metà del secolo ed è probabilmente originaria delle regioni tropicali. Quasi sicuramente giunse in Europa e negli Stati Uniti in seguito all’importazione delle banane.
Il piccolo insetto comparve fra il 1900 ed il 1901 presso l’Università di Hardward, dove C.W.Woodworth vi si dedicò e suggerì a W. Castle che si trattava di un organismo particolarmente adatto per studi in campo genetico.
Castle, con un gruppo di collaboratori, avviò così una ricerca sugli effetti degli incroci ripetuti fra i moscerini.
L’utilizzo in laboratorio di questo insetto, ben presto si rivelò effettivamente adatto alle ricerche di genetica, in quanto l’allevamento risultava molto economico, richiedeva poco spazio (in un primo tempo i moscerini vennero addirittura allevati nelle bottiglie vuote del latte) e soprattutto era possibile ottenere numerosi incroci in breve tempo (da 2 a 3 settimane).
Intorno al 1908, anche Morgan cominciò a lavorare su Drosophila; infatti, in un primo tempo, aveva condotto le sue ricerche sui ratti, ma ben presto li abbandonò a causa dell’elevato costo, dei cicli riproduttivi troppo lunghi e della facilità con cui venivano colpiti da infezioni. Fu probabilmente Frank Lutz, un genetista della Stazione per l’Evoluzione Sperimentale di Washington a Cold Spring Harbor e collaboratore di Castle, a presentargli lo studio del moscerino.
Egli era, però, molto restio ad accettare l’ipotesi che i cromosomi fossero alla base dell’eredità, ed infatti, in accordo con la posizione di Driesch (con cui mantenne sempre un contatto epistolare), era contrario all’idea di preformismo sostenuta con fervore da Wilson.
Scriveva Morgan nel 1909: "Dato che il numero di cromosomi è relativamente piccolo ed i caratteri dell’individuo sono molto numerosi, ne segue in teoria, che molti caratteri dovrebbero mendelizzare insieme. Confermano i fatti questo requisito dell’ipotesi? A me sembra di no.[…] Se i caratteri mendeliani sono dovuti alla presenza o all’assenza di uno specifico cromosoma, come assume l’ipotesi di Sutton (*), come possiamo spiegare il fatto che i tessuti e gli organi di un animale differiscono uno dall’altro mentre contengono lo stesso complesso cromosomico?"(**)
(*) Walter S. Sutton (1877 -1916 ) fu allievo di Wilson; studiando i cromosomi, nel tentativo di spiegare la segregazione degli alleli, si accorse che il comportamento dei cromosomi durante la meiosi è parallelo a quello dei caratteri mendeliani.
(**) Cit. da Bernardino Fantini, La Genetica Classica ed. Loescher Torino,1979

 La prima importante scoperta
Una risposta a queste domande si presentò circa sei mesi dopo, proprio durante le ricerche condotte su Drosophila.
Morgan stava cercando delle nuove "razze", cioè mutazioni "alla De Vries".

Per condurre questo tipo di ricerca, i moscerini venivano sottoposti ad agenti mutageni (raggi X, sali, onde radio), ma in un primo tempo i risultati non furono quelli sperati.
Nel 1910, tuttavia, comparve un unico individuo maschio con gli occhi bianchi in una popolazione interamente costituita da moscerini con gli occhi rossi.
Morgan decise di studiare questa variante e fece accoppiare il maschio "occhi bianchi" con le femmine "occhi rossi".
Nella prima generazione filiale (F1) tutti i moscerini avevano gli occhi rossi, ma nella seconda (F2), comparve il classico rapporto mendeliano 3 rossi:1 bianco. Questo indicava chiaramente che il carattere "occhi bianchi" doveva essere un carattere mendeliano recessivo, ma c’era un aspetto particolare: tutti gli individui della F2 che avevano gli occhi bianchi erano maschi.
Realizzando poi l’incrocio fra un maschio con gli occhi bianchi ed una femmina della F1, si otteneva di nuovo il rapporto previsto da Mendel, cioè 1 bianco: 1 rosso, ma questa volta con la stessa distribuzione nei due sessi.
Per spiegare questi risultati, Morgan ipotizzò l’esistenza di un fattore, portatore del colore bianco degli occhi, che doveva trovarsi negli spermatozoi e lo indicò come W; inoltre, metà dei gameti maschili doveva portare un fattore X per il sesso e l’altra metà no. 
Il maschio con gli occhi bianchi doveva pertanto essere omozigote per W ed eterozigote per X, cioè WWX, producendo quindi due tipi di gameti: WX e X.
La femmina invece doveva essere portatrice per il fattore rosso R, omozigote per X e, quindi, avere genotipo RRXX, con conseguente produzione di gameti tutti uguali, del tipo RX.
Dal momento che "occhi rossi" domina su "occhi bianchi", gli individui della F1 (tutti RWXX) dovevano avere tutti gli occhi rossi, mentre nella F2 potevano nascere individui WWX, cioè maschi con gli occhi bianchi.
In accordo con questa ipotesi, i maschi con gli occhi rossi dovevano avere un genotipo RRX, ma i dati non confermarono le previsioni: incrociando un maschio con gli occhi rossi con una femmina con gli occhi bianchi, si ottennero tutti maschi eterozigoti per R e tutte femmine omozigoti per R.
Il problema era quindi il seguente: come mai nelle popolazioni non comparivano tante femmine con gli occhi bianchi quante ci si aspetta di trovarne?
 Una nuova ipotesi ed un’ulteriore conferma

Per risolvere il problema, Morgan introdusse un’ipotesi ulteriore: il fattore R deve essere legato inscindibilmente con il fattore per il sesso, per cui le femmine (che hanno due X) devono essere RRXX, mentre i maschi (che ne hanno una sola) devono essere RWX.
La nascita del maschio con gli occhi bianchi doveva essere quindi causata dagli agenti mutageni che avevano modificato, in un uovo, RX in WX, portando ad un individuo WWX.
Per maggiore semplicità nella simbologia, Morgan ( in accordo con Bateson), ipotizzò che il colore bianco degli occhi fosse provocato dall’assenza del fattore per il colore: WX diventa quindi OX.
In conclusione Morgan ammise che R e X dovevano essere combinati e che non potevano esistere indipendentemente l’uno dall’altro.
Nonostante questi risultati, Morgan rimaneva piuttosto scettico nei confronti del nesso cromosomi-ereditarietà e continuava parlare di un fattore X piuttosto che di un cromosoma X, in quanto reputava il differenziamento sessuale un fenomeno troppo complesso per essere legato ad una piccola struttura come quella del cromosoma.
Ad incrementare le difficoltà c’erano anche le scoperte genetiche condotte da Bateson e Punnett su Abraxas, che dimostravano la presenza dell’eterozigosi nelle femmine e non nei maschi: era esattamente l’opposto di ciò che era emerso dalle ricerche su Drosophila.
Nello stesso anno, però, Morgan trovò altre due mutazioni legate al sesso ("corpo giallo" e "ali miniatura"); questo rafforzò l’idea che dovessero esistere dei fattori per questi caratteri sul cromosoma X.

1) Situazione selvatica



3) Incrocio tra femmina con occhi rossi (linea pura) e maschio con occhi bianchi

4) Incrocio tra un maschio con occhi bianchi ed una femmina F1

5) Eredità criss-cross

Il Drosophila Group

Il passo successivo consisteva nel dimostrare che i tre caratteri legati al sesso si trasmettevano insieme, senza mai separarsi.
Tuttavia, nei successivi esperimenti, Morgan si accorse che in alcuni casi avveniva una ricombinazione di questi caratteri e che, quindi, non si poteva parlare di associazione completa.
Ormai appassionato e deciso ad arrivare in fondo, Morgan costituì un piccolo gruppo di scienziati, che portò avanti la ricerca con grande passione.
Il piccolo laboratorio presso la Columbia University, soprannominato "la stanza delle mosche", era una stanzina piena di tavoli, microscopi e bottiglie di coltura dei moscerini.
Qui cominciarono a lavorare Calvin B. Bridges e Alfred H. Sturtevant. Ospite frequente era poi Hermann J. Muller, ancora studente, che mantenne sempre un rapporto conflittuale di odio e amore nei confronti degli altri ricercatori. Era nato il "Drosophila Group".
Il laboratorio era frequentato da ricercatori, studenti, interni post-dottorato e diversi visitatori.
Proprio da qui le idee sarebbero comparse una dopo l’altra con una carica esplosiva, e proprio qui gli esperimenti si sarebbero susseguiti in modo continuo, portando ad una serie di scoperte, ipotesi e teorie.
Il lavoro era condotto attraverso una stretta collaborazione fra tutti i membri del gruppo ed ogni giorno regnava l’entusiasmo, non senza senso critico e apertura mentale, una rara qualità.
Gli scambi erano continui e, ogni volta che nasceva una nuova idea o si otteneva un nuovo risultato, la discussione interessava tutto il gruppo ed era condotta con un tale fervore da dimenticare chi per primo vi era giunto.
Il primo aspetto da verificare era il legame fra la distanza dei fattori sul cromosoma ed il grado di associazione dei caratteri.
Durante un’intensa notte di lavoro, Sturtevant costruì un modello che mette in relazione la frequenza dei cross overs nel cromosoma con la distanza relativa dei fattori sul cromosoma stesso; anzi, la frequenza dei cross overs permette di calcolare la distanza dei due fattori sul cromosoma.
Il modello realizzato da Sturtevant permise, in pochi anni, di giungere a definire particolari associazioni dei geni anche sugli altri tre cromosomi di Drosophila (detti autosomi e presenti in duplice copia, a differenza del cromosoma X).
Nel 1915, Morgan, Bridges, Sturtevant e Muller pubblicarono "The Mechanism of Mendelian Heredity", che proponeva gli studi condotti su Drosophila come una chiave di lettura dei sistemi genetici e che poneva le basi per la mappatura dei geni.
Questi risultati, però, dovevano ancora sfidare la critica della comunità scientifica: ci vollero altri dieci anni, caratterizzati da continue scoperte, ma anche da polemiche, perché queste scoperte trovassero il consenso generale dei genetisti.
Il lavoro del "Drosophila Group" proseguì per circa venti anni nel laboratorio della Columbia University e da lì si propagò nelle università del resto del mondo, dove si continuavano a trovare nuovi mutanti.

Un po’ per volta vennero definite le leggi della genetica classica e si giunse al modello della "collana di perle" secondo cui i geni si dispongono sui cromosomi uno dopo l’altro come le perle sul filo di una collana.

martedì 14 maggio 2013

Mendel

Prima di andare al video spieghiamo chi era Mendel!
Vedremo il lato del Mendel scienziato e del Mendel imbroglione!


È proprio a livello del metodo che si rileva un fondamentale contributo di Mendel: egli applica per la prima volta lo strumento matematico, in particolare la statistica e il calcolo delle probabilità, allo studio dell'ereditarietà biologica.
Mendel, dopo sette anni di selezione, identificò sette "Linee pure": sette varietà di pisello che differivano per caratteri estremamente visibili (forma del seme: liscio o rugoso; colore del seme: giallo o verde; forma del baccello: rigonfio o grinzoso; colore del baccello: giallo o verde; posizione dei fiori: lungo il fusto o in cima; colore dei fiori: bianco o rosa; lunghezza dei fusti: alti o bassi). Proprio le caratteristiche di tale pianta  si prestavano particolarmente allo studio, unitamente a un semplice sistema riproduttivo, grazie al quale il monaco poteva impollinare a piacimento i suoi vegetali. Operò con un vastissimo numero di esemplari perché sapeva che le leggi della probabilità si manifestano sui grandi numeri.
Mendel prese due varietà di piante di pisello completamente diverse, appartenenti alle cosiddette linee pure (ovvero quelle nelle quali l'aspetto è rimasto costante dopo numerose generazioni) e iniziò ad incrociarle per caratteri specularmente diversi: ad esempio, una pianta a fiori rossi con una pianta a fiori bianchi. Notò che la prima generazione filiale (detta anche F1) manifestava soltanto uno dei caratteri delle generazioni parentali (detta anche P) e ne dedusse che uno dei due caratteri doveva essere dominante rispetto all'altro: da questa osservazione trae origine la legge sull'uniformità degli ibridi. Incrociando poi tra loro le piante della generazione F1, Mendel osservò, in parte della successiva generazione, la ricomparsa di caratteri "persi" nella F1 e capì quindi che essi non erano realmente scomparsi, bensì erano stati "oscurati" da quello dominante. Osservando la periodicità della seconda generazione filiale o F2, (tre esemplari mostrano il gene dominante e uno il gene recessivo) Mendel portò le scoperte ancora più avanti:


Mendel, anche insegnante di scienze naturali, aveva sperimentato le sue ricerche su due tipi di piante di pisello odoroso. Le due piante, che si riproducevano per autoimpollinazione, presentavano caratteri antagonisti (cioè una aveva i caratteri dominanti e l'altra i caratteri recessivi), come ad esempio, il colore del fiore (rosso o bianco) la lunghezza del fusto (alto o basso)... il suo obbiettivo era quello di combinare i due individui ed esaminare i caratteri del "figlio". Così prese due fiori che presentavano un solo carattere diverso (cioè il colore del fiore bianco o rosso) accertandosi che provenissero da una linea pura, e incrociò le due specie artificialmente. Tagliò lo stame (organo riproduttivo maschile) del fiore rosso; prelevò del polline dal fiore bianco con un pennellino, e lo pose sul pistillo del fiore rosso. Aspettò che il polline del fiore bianco fecondasse il pistillo del fiore rosso, e aspettò i risultati. Da quel fiore rosso sbocciarono tutti fiori rossi, perché (come si scoprì molti anni dopo) il carattere dominante "fiore rosso", aveva prevalso sul carattere recessivo "fiore bianco". Quindi, dall'unione dei due fiori rosso e bianco, omozigoti di linea pura, aveva ottenuto (nella prima generazione che chiameremo F1, prima generazione filiale) tutti fiori eterozigoti rossi. E così formulò la sua prima legge sulla dominanza dei caratteri. Poi aspettò che questi ibridi si fecondassero e osservò la seconda generazione (F2) che aveva ottenuto. Ogni quattro fiori "figli", tre presentavano il carattere dominante (fiore rosso) e uno il carattere recessivo (fiore bianco). perché: RB (fiore rosso eterozigote) RB (fiore rosso eterozigote) alleleR alleleB alleleR alleleB possibili combinazioni: RR (fiore rosso omozigote); RB (fiore rosso eterozigote); BR (fiore rosso eterozigote); BB (fiore bianco omozigote). e così formulò la sua seconda legge.
 Il nostro simpatico amico,però, è vero che aveva ottenuto una vasta gamma di risultati utili, ma è anche vero che ci si deve soffermare su quest'ultima parola: UTILI! Mendel, aveva già una sua idea rispetto a ciò che sarebbe dovuto succedere, incrociando e facendo riprodurre piante di piselli (tra l'altro ermafroditi, quindi facilmente "accoppiabili") e di fiori e aveva magicamente ottenuto gli stessi risultati che si sarebbe aspettato, senza un minimo di errore! Parliamo veramente di magia? In realtà no:solamente di una piiiccolissima "frode". Ovvero: Mendel aveva scartato i risultati diversi dai quelli che immaginava, non tenendo conto delle mutazioni che avvenivano nei geni e quindi poi nella prole(dato che neanche poteva immaginare che potessero esserci mutazioni, sia perchè non aveva le basi scientifiche sia perchè, essendo monaco, credeva che ogni cosa creata da Dio fosse "incorruttibile", e così i geni). Quando questi risultati inaspettati comparivano... Sorpresa!! Nei suoi dati, che vennero pubblicati, queste variazioni erano SCOMPARSE!
Ora vi lascerò al video ;)

Link sugli esperimenti di Mendel!

lunedì 6 maggio 2013

Sintesi proteica (video)

Come mio solito, dopo la spiegazione scritta, inserirò un video. Il video (in italiano) vi parlerà meglio della sintesi proteica!




Sintesi proteica


La traduzione, o sintesi proteica!

La sintesi proteica  è il processo biochimico attraverso il quale l'informazione genetica contenuta nel mRNA (RNA messaggero), viene convertita in proteine che svolgono nella cellula un'ampia gamma di funzioni. La sintesi proteica inizia da un filamento di mRNA, prodotto a partire da un gene sul DNA attraverso il processo di trascrizione. Questo filamento è usato come stampo per la produzione di una specifica proteina.

L'mRNA è il trascritto di un gene nel linguaggio dell'RNA, che prevede quattro basi, identiche al DNA fatta eccezione per l'uracile che sostituisce la timina. Un mRNA maturo appena esportato dalla nucleoplasma attraverso la membrana nucleare è stato inoltre modificato mediante aggiunta di una 5'-metilguanina all'estremità 5' (cappuccio dell'mRNA). Il ribosoma legge le basi dell'mRNA a triplette (dette codoni) e a ciascuna tripletta (per un totale di 64, che si ottiene elevando il numero delle basi dell'mRNA, cioè 4, al numero di cifre di una tripletta, 3) fa corrispondere un amminoacido. In realtà, alcune triplette codificano per lo stesso amminoacido e solo due amminoacidi sono specificati da una sola tripletta. La lunghezza di un mRNA varia in funzione della lunghezza degli esoni del gene trascritto.

Il tRNA è una piccola molecola di RNA composta mediamente da 80 nucleotidi. Oltre ai nucleotidi convenzionali per l'RNA vi sono anche nucleotidi modificati.. Ha una caratteristica forma simile a quella di un quadrifoglio che assume per la formazione di legami idrogeno tra le doppie eliche ripiegate in alcuni tratti della sua struttura. Di norma i nucleotidi modificati tendono a non prendere parte a questi legami. Vi sono quattro aree di particolare interesse in ciascuna molecola di tRNA, in particolare due anse, dette ansa D e ansa T, l'anticodone, specifico per ciascun tRNA e complementare ad un codone del mRNA e l'attacco dell'amminoacido corrispondente al codone all'estremità 3'. Esistono più tRNA per uno stesso amminoacido (infatti vi sono solo 48 anticodoni diversi codificati da circa 500 geni) e nel contempo un tRNA può associarsi a più di un codone. Questo accade perché ciascun anticodone di tRNA si associa saldamente solo alle prime due basi di un codone, mentre è poco specifico e più tollerante per la terza base, tanto che non raramente si verificano appaiamenti sbagliati, causando il fenomeno dello wobbling cioè il tentennamento della terza posizione. Questo spiega anche perché la serie di codoni che specifica uno stesso amminoacido è identica nelle prime due basi e differisce solo nella terza, con poche eccezioni. I tRNA che intervengono nella sintesi proteica sono il prodotto di pre-tRNA più lunghi che vengono modificati nel nucleo grazie ad uno speciale splicing che segue un meccanismo "taglia e cuci", diverso da quello comune che prevede la formazione di una sorta di cappio per rimuovere le sequenze introniche. Successivamente un amminoacil-tRNA-sintetasi specifica per ciascun amminoacido (circa 20 tipi diversi) accoppia covalentemente l'amminoacido corrispondente all'estremità 3' di ciascun tRNA. Successivamente l'amminoacido adenilato è legato dall'amminoacil-tRNA-sintetasi al tRNA con fuoriuscita di AMP. L'amminoacil-tRNA-sintetasi sceglie l'amminoacido corretto da attaccare al tRNA in parte perché ha un'affinità maggiore per quell'amminoacido rispetto a tutti gli altri e in parte perché ne è facilitata dato che il suo sito attivo esclude tutti gli altri amminoacidi più grandi. Successivamente, quando anche tRNA si lega all'enzima, l'amminoacido si sposta in un secondo sito attivo ancora più specifico che funge da meccanismo di controllo. Un meccanismo simile avviene con la correzione esonucleolitica delle bozze da parte della DNA polimerasi. In questo modo la amminoacil-tRNA-sintetasi raggiunge un'accuratezza di 1 errore ogni 40.000 accoppiamenti.


Il ribosoma è un grande ribozima e rappresenta la macchina esecutrice della sintesi proteica. Possiede due subunità, la maggiore (60 S) e la minore (40 S), la maggiore contiene gli rRNA 28 S, 5.8 S e 5 S, mentre la minore contiene l'rRNA 18 S. Gli rRNA così come i ribosomi sono sintetizzati nel nucleolo all'interno del nucleo, i primi dalla RNA polimerasi III. Oltre ai quattro tipi di rRNA specificati, ciascun ribosoma contiene circa 50 proteine diverse; è dunque composto per i 2/3 da RNA e per 1/3 da proteine. La subunità minore funge da sostegno e da sito di ingresso dell'mRNA da tradurre, mentre la subunità maggiore è la principale macchina catalizzatrice del complesso. Quando sono unite le due subunità possiedono quattro siti d'attacco, uno per l'mRNA e i siti E, P, A per i tRNA in arrivo o in uscita. I primi due sono i più voluminosi e contengono tRNA i cui anticodoni sono legati al codone dell'mRNA mentre il sito E contiene il tRNA che si sta per staccare dal ribosoma poiché ha già aggiunto il suo amminoacido al polipeptide in formazione. Un ribosoma umano aggiunge circa 2 amminoacidi al secondo. Ciascuna cellula contiene alcuni milioni di ribosomi sparsi nel citoplasma con le subunità distaccate fra loro, oppure in attiva sintesi con le subunità unite, aggregati in polisomi (gruppi di decine di ribosomi in sintesi proteica) oppure attaccati alla membrana del reticolo endoplasmatico rugoso (RER). Le cellule in attiva sintesi ne contengono di più rispetto ad altre meno attive.

Sintesi proteica negli eucarioti.

La sintesi proteica inizia sempre dall'N-terminale di una proteina in formazione verso il suo C-terminale. Il primo amminoacil-tRNA ad essere aggiunto è invariabilmente quello con legata metionina, detto tRNA iniziatore, poiché la sequenza d'inizio di ciascun mRNA è AUG. Generalmente la metionina è sempre rimossa alla fine della traduzione da una proteasi specifica. La subunità minore del ribosoma si attacca all'estremità 5' dell'mRNA che viene riconosciuta poiché possiede un cappuccio  e i fattori di inizio , poi, una volta trovata, vi si attacca anche la subunità maggiore e quindi il ribozima cerca la prima tripletta che è il suo segnale d'inizio della sintesi proteica. L'attacco del tRNA iniziatore al sito P della subunità minore del ribosoma in assenza di quella maggiore è aiutato dal fattore di inizio  che lega GTP, il quale è idrolizzato quando la subunità maggiore si associa alla minore. Il movimento della subunità minore è ulteriormente facilitato dall'idrolisi . Il tRNA si lega al sito P del ribosoma, mentre il tRNA con l'anticodone corrispondente al codone successivo nell'mRNA legato al fattore d'allungamento si attacca nel sito A. Esso unisce il tRNA al sito A ed effettua un controllo di qualità per non venire aggiunto se la corrispondenza codone-anticodone non è corretta; probabilmente questo avviene per una maggiore affinità tra le molecole, anche se non è stato ancora chiarito precisamente il meccanismo. Esso inoltre lega il tRNA sull'mRNA in una conformazione curva che impedisce l'immediato legame dell'amminoacido legato al tRNA cui è attaccato al resto del polipeptide in crescita. Una volta riconosciuto un appaiamento corretto, l'rRNA sulla subunità minore idrolizza il GTP legato e si stacca dal tRNA. Sembra che una corrispondenza corretta tra codone ed anticodone sia ulteriormente facilitata dalla formazione di legami idrogeno tra la subunità minore del ribosoma e la stessa coppia codone-anticodone. A questo punto vi sono quindi sul ribosoma due tRNA adiacenti uniti ciascuno al proprio codone sull'mRNA. A questo punto la peptidil transferasi, contenuta nella subunità maggiore del ribosoma, catalizza lo spostamento del legame che unisce l'amminoacido al suo tRNA nel sito P formando un legame peptidico tra l'amminoacido del tRNA presso il sito P e quello presso il sito A. La subunità maggiore si sposta quindi di tre nucleotidi verso l'estremità 3' dell'mRNA e così fa anche la subunità minore così che, alla fine degli spostamenti, il primo tRNA aggiunto si trova nel sito E e il secondo nel sito P mentre nel sito A si lega il fattore di allungamento EF2 con legato GTP. Il primo tRNA ormai privo di amminoacido si stacca dal sito E ed esce dal ribosoma, mentre un nuovo amminoacil-tRNA si attacca al sito A, il GTP di EF2 è idrolizzato a GDP e EF2 si stacca dal sito A. Quindi il legame tra amminoacido e tRNA del sito P è trasferito tra gli amminoacidi dei tRNA tra A e P per formare un nuovo legame peptidico e così la sintesi va avanti sino a che il ribosoma non trova un codone di stop. Quando l' Rna si duplica permette alla cellula di far avvenire un processo di splicing. Quando il codone di stop è raggiunto nella fase di terminazione il ribosoma cattura una molecola d'acqua che idrolizza il polipeptide ormai completo il quale si distacca dal ribosoma. Il processo è coadiuvato da fattori di rilascio, proteine che simulano l'azione del tRNA, si legano al sito A e liberano la proteina nel citoplasma (fenomeno conosciuto come mimetismo molecolare). La sintesi delle proteine può avvenire molto rapidamente perché più ribosomi possono legarsi ad uno stesso filamento di mRNA consentendo quindi la costruzione simultanea di più catene proteiche. Un filamento di mRNA con più ribosomi è chiamata polisoma.